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Ci siamo, ancora una volta l’estate ci saluta per lasciar posto al periodo più importante e centrale di tutta l’attivita vinicola, la vendemmia. Il momento in cui si raccolgono i frutti di un lavoro lungo un anno, tanti momenti di cura e dedizione alla vite che confluiscono nel raccolto finale che diventerà il vino dell’annata 2020. È indubbio che il 2020 ha lasciato un segno indelebile su tutti i settori a causa della sospensione epocale della vita economica dovuta al lockdown relativo alla pandemia da Coronavirus. E se Vendemmia è sinonimo di festa e di sacra celebrazione del connubio natura-lavoro dell’uomo, se da un lato ha visto esiti anche positivi sull’aspetto ecologico grazie al fermo generale che ha regalato a flora e fauna un periodo di rigenerazione che diversamente non si sarebbe mai avuto, di contro ha rallentato inesorabilmente gli ingranaggi della macchina commerciale che ha portato una riduzione fino al 30-40% dei consumi dei vini specie di quelli di alta gamma, come ad esempio quelli veneti. Ma se il canale Horeca ha sofferto la situazione, la Gdo ha tenuto bene per l’aumento dei consumi domestici. Le prospettive per la prossima vendemmia hanno visto molto preoccupati i consorzi che hanno avviato un sistema di monitoraggio costante per poter decidere insieme le strategie più utili e le misure da pianificare in vista della vendemmia e dei futuri programmi di sostegno, evitando di dare segnali negativi al mercato e di offrir il fianco a speculazioni. Diverse son state le le attività valutate come utili a limitare i danni come ad es. la riduzione della resa, l’aumento degli stoccaggi, fino a forme parziali di ‘vendemmia verde’ o distillazioni di crisi. Certamente la qualità della prossima produzione sarà alta perché di particolare selezione e, contro ogni aspettativa, positivo è stato il risultato messo a segno dal vino italiano sui mercati extra Ue nel primo quadrimestre del 2020 con un +5,1% (cifre rese note dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma sulla base delle informazioni doganali dei diversi Paesi) . Una performance significativa anche perché abbraccia i due mesi clou del lockdown (marzo e aprile) caratterizzati dalla chiusura di alberghi e ristoranti in molti paesi del mondo. Numeri che nel complesso coprono circa il 50% del totale export di vino italiano, ma che comprendono però il primo mercato di sbocco, gli Stati Uniti, oltre che i mercati emergenti di Canada, Russia, Giappone, Cina, Svizzera e Brasile. Il vino made in Italy nel complesso della prima parte dell’anno ha retto in maniera egregia rispetto ai suoi competitor d’Oltralpe. Rispetto ai francesi, più votati alla ristorazione, il miglior rapporto prezzo-qualità dei nostri vini è stata in questo anno eccezionale un’arma vincente.